TITOLO: Acido solforico
AUTORE: Amelie Nothomb
EDITORE: Guanda
EDITORE: Guanda
"Arrivò il tempo in cui la sofferenza degli altri non gli bastò più. Dovevano trasformarla in spettacolo"
Siamo a Parigi dove un giorno, improvvisamente, alcune
persona vengono rapite e stipate in alcuni camion per essere deportate in un
campo di concentramento molto simile a quelli nazisti della seconda guerra mondiale;
tra queste vi è anche Pannonique, bellissima ragazza francese e una
delle protagoniste del racconto, che viene catturata durante una comune passeggiata
ai giardini. Ad inscenare i rapimenti però, non sono state organizzazioni
segrete o militari, ma la troupe televisiva di “Concentramento” un nuovo
reality show in cui i concorrenti sono obbligati a vivere come deportati senza
aver dato nemmeno il loro consenso. Ad attenderli al campo vi sono cameramen pronti
a filmare ogni singola immagine e altri concorrenti che avranno invece il ruolo
di kapò, perfidi e crudeli; qui faremo la conoscenza dell’altra protagonista
principale, Zdena, scarsamente considerata nel mondo reale, ma che in
questo contesto invece sembra godere dell’ammirazione dei colleghi. Come in
ogni reality show che si rispetti, anche Concentramento ha un suo televoto, attraverso
cui il pubblico (vastissimo, neanche a dirlo) può votare quale deportato
eliminare, o per meglio dire giustiziare.
“Acido solforico” si presenta al pubblico come una
storia breve e particolare: le pagine sono poco più di un centinaio e personalmente
le ho lette in una giornata. Nonostante sia stato acclamato dai lettori ed
abbia ottenuto recensioni altissime, io sono rimasta invece molto delusa: la
trama è un copione già visto e, a mio avviso, c’è poca originalità. Forse io
stessa sono partita con aspettative troppo alte vedendo il gran numero di
recensioni positive.
L’idea da cui era partita era senz’altro accattivante: la
storia del reality show, che richiama a tratti “1984” di Orwell,
fa nascere tante considerazioni sulla nostra società odierna che viene
dirottata verso una desensibilizzazione sempre maggiore. L’autrice non ha sicuramente
paura di richiamare temi delicati e anche un po’ macabri e questo le fa onore; Amélie
Nothomb descrive una società vuota, ipocrita, capace per business di
trasformare la sofferenza in spettacolo, senza porsi troppi scrupoli; siamo
sicuri, al giorno d’oggi, di essere lontani da tutto questo? Non ci giurerei
troppo. Forse è proprio questo il significato di questo libro: farci vedere
cosa si rischia di diventare se solo si dimentica per un attimo il valore della
vita.
Un altro quesito che sorge spontaneo in credo qualsiasi
lettore scorrendo le pagine è: “Come mi sarei comportata/o io, se fossi
stato al loro posto? Anch’io sarei stata/o crudele come i kapò maltrattando
persone innocenti senza remore?”. Se ci pensiamo bene, sono più o meno le
stesse domande che sorgono quando si sente parlare delle atrocità dell’olocausto.
Non è niente di nuovo. Si, ok è un buon spunto di riflessione e avere tanti
spunti di riflessione non fa mai male, ma purtroppo a mio parere questo libro
non può reggere il confronto con i tanti altri che ne hanno parlato. Il finale
è piuttosto scontato e i dialoghi spesso cadono nella banalità.
Il libro nel complesso è ben scritto ed accattivante: a chi
piace il modo di scrivere della Nothomb, piacerà sicuramente anche
questo e lo consiglio. A chi è incuriosito dalla trama invece, farebbe comunque
bene a leggerlo perché ognuno ha i suoi gusti e ciò che può non piacere a me
può essere bellissimo per qualcun altro, consiglio di leggere il libro “Effetto
Lucifero” di Zimbardo, che purtroppo ha reso tutto questo realtà, in
un angosciante esperimento nel 1971.
★★☆☆☆
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