mercoledì 18 marzo 2020

RECENSIONE ACIDO SOLFORICO (LIBRO)- AMELIE NOTHOMB



TITOLO: Acido solforico
AUTORE: Amelie Nothomb
EDITORE: Guanda


"Arrivò il tempo in cui la sofferenza degli altri non gli bastò più. Dovevano trasformarla in spettacolo"


Siamo a Parigi dove un giorno, improvvisamente, alcune persona vengono rapite e stipate in alcuni camion per essere deportate in un campo di concentramento molto simile a quelli nazisti della seconda guerra mondiale; tra queste vi è anche Pannonique, bellissima ragazza francese e una delle protagoniste del racconto, che viene catturata durante una comune passeggiata ai giardini. Ad inscenare i rapimenti però, non sono state organizzazioni segrete o militari, ma la troupe televisiva di “Concentramento” un nuovo reality show in cui i concorrenti sono obbligati a vivere come deportati senza aver dato nemmeno il loro consenso. Ad attenderli al campo vi sono cameramen pronti a filmare ogni singola immagine e altri concorrenti che avranno invece il ruolo di kapò, perfidi e crudeli; qui faremo la conoscenza dell’altra protagonista principale, Zdena, scarsamente considerata nel mondo reale, ma che in questo contesto invece sembra godere dell’ammirazione dei colleghi. Come in ogni reality show che si rispetti, anche Concentramento ha un suo televoto, attraverso cui il pubblico (vastissimo, neanche a dirlo) può votare quale deportato eliminare, o per meglio dire giustiziare.
Acido solforico” si presenta al pubblico come una storia breve e particolare: le pagine sono poco più di un centinaio e personalmente le ho lette in una giornata. Nonostante sia stato acclamato dai lettori ed abbia ottenuto recensioni altissime, io sono rimasta invece molto delusa: la trama è un copione già visto e, a mio avviso, c’è poca originalità. Forse io stessa sono partita con aspettative troppo alte vedendo il gran numero di recensioni positive.
L’idea da cui era partita era senz’altro accattivante: la storia del reality show, che richiama a tratti “1984” di Orwell, fa nascere tante considerazioni sulla nostra società odierna che viene dirottata verso una desensibilizzazione sempre maggiore. L’autrice non ha sicuramente paura di richiamare temi delicati e anche un po’ macabri e questo le fa onore; Amélie Nothomb descrive una società vuota, ipocrita, capace per business di trasformare la sofferenza in spettacolo, senza porsi troppi scrupoli; siamo sicuri, al giorno d’oggi, di essere lontani da tutto questo? Non ci giurerei troppo. Forse è proprio questo il significato di questo libro: farci vedere cosa si rischia di diventare se solo si dimentica per un attimo il valore della vita.  
Un altro quesito che sorge spontaneo in credo qualsiasi lettore scorrendo le pagine è: “Come mi sarei comportata/o io, se fossi stato al loro posto? Anch’io sarei stata/o crudele come i kapò maltrattando persone innocenti senza remore?”. Se ci pensiamo bene, sono più o meno le stesse domande che sorgono quando si sente parlare delle atrocità dell’olocausto. Non è niente di nuovo. Si, ok è un buon spunto di riflessione e avere tanti spunti di riflessione non fa mai male, ma purtroppo a mio parere questo libro non può reggere il confronto con i tanti altri che ne hanno parlato. Il finale è piuttosto scontato e i dialoghi spesso cadono nella banalità.
Il libro nel complesso è ben scritto ed accattivante: a chi piace il modo di scrivere della Nothomb, piacerà sicuramente anche questo e lo consiglio. A chi è incuriosito dalla trama invece, farebbe comunque bene a leggerlo perché ognuno ha i suoi gusti e ciò che può non piacere a me può essere bellissimo per qualcun altro, consiglio di leggere il libro “Effetto Lucifero” di Zimbardo, che purtroppo ha reso tutto questo realtà, in un angosciante esperimento nel 1971.  

★★☆☆☆

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