giovedì 16 luglio 2020

RECENSIONE UNDERGROUND (LIBRO) - MURAKAMI


TITOLO: Murakami
AUTORE: Underground
EDITORE: Corriere della sera

Ciao a tutti lettori! Oggi ho deciso di parlarvi di “Underground” di Murakami.

Non tutti sanno che nel 1995 ci fu un attentato multiplo nella metropolitana di Tokyo in Giappone. Dico multiplo perché sono più di una le linee metropolitane ad essere state colpite. Gli autori dell’attacco erano adepti al culto religioso Aum, i quali diffusero all’interno dei vagoni una sostanza chimica altamente velenosa il sarin, uccidendo alcune persone e intossicandone gravemente molte altre migliaia. Murakami cerca di ricostruire la vicenda attraverso alcune interviste raccolte da lui stesso negli anni immediatamente successivi al fatto. Nella prima parte del libro sono raccolte tutte le interviste fatte alle vittime dell’attentato o ad alcuni familiari, mentre nella seconda parte Murakami andrà ad intervistare persone affiliate alla setta.

Come avrete già intuito, questo libro non è un romanzo ma una raccolta di interviste. Non troverete nulla di inventato o romanzato. Le interviste sono molto dettagliate, infatti Murakami inizia ogni intervista raccontando prima ciò che svolge nella vita la tal persona, la sua carriera, dove vive e tutto il resto. Tutto ciò è bellissimo ed interessante per le prime 5 interviste, poi il libro purtroppo tende ad essere prolisso: le linee colpite sono più di una e per ognuna di essa ci sono almeno 6-7 interviste, dove i personaggi a lungo andare tendono a raccontare sempre le stesse cose. Questa è un po' la pecca del libro, ma non mi viene da considerarla davvero come tale perché comunque io non sono nessuno per giudicare il vissuto di una vittima di attentato più interessante rispetto ad un’altra.

Una cosa che mi ha davvero colpita è sicuramente il modo e i termini che ha utilizzato chi ha subito questo attentato. Quasi tutti infatti, se non addirittura proprio tutti, dicono di non provare rabbia per l’accaduto e nemmeno odio per chi ha commesso questo fatto; secondo loro infatti, provare sentimenti negativi non avrebbe cambiato nulla ma solo fatto perdere altro tempo. A dirlo erano anche persone fortemente intossicate dal veleno e che all’epoca dell’intervista seguivano ancora delle cure. Devo ammettere che questo modo (secondo me molto orientale) di affrontare la faccenda mi ha stupito molto. Forse perché sono sempre stata abituata a vedere che dietro ad ogni accettazione del trauma, c’è in realtà un lavoro molto complesso che dura anni o che comunque ad una brutta azione corrisponda un sentimento negativo, che invece qui sembra essere attenuato. Sono rimasta molto sorpresa, in positivo ovviamente e ho iniziato a chiedermi come avrei reagito io….CERTO NON COSI’!

Mi ha fatto piacere leggere anche le interviste agli altri membri del culto con i quali però ho fatto una notevole fatica ad entrare in empatia per ovvi motivi e che non ho compreso forse fino in fondo.
Un’altra cosa che mi ha sorpreso è stato il tono pacato con cui sono state riportate le interviste e i fatti, quasi come se non si stesse parlando di temi seri e tristi, ma di una cosa qualunque. Lo definirei comunque un pregio e mi complimento decisamente con Murakami per il lavoro svolto perché è sempre bene o male riuscito a mantenere una posizione neutrale.

Arrivando al succo, mi è piaciuto? Si mi è piaciuto. Non sapevo nulla sull’argomento, non sapevo dell’esistenza di questo culto e di questo attentato quindi ero davvero curiosa di scoprirne di più. Non lo consiglio tuttavia a tutti: in primis a chi non interessa l’evento e a chi vuole leggere un romanzo (specifico di nuovo che i fatti riportati sono realmente accaduti). Tenete presente che non è esattamente un opuscolo, ma parliamo di circa 500 pagine, quindi se il genere non vi interessa farete fatica a leggerlo.

lunedì 29 giugno 2020

RECENSIONE LE FACCE DELLA MENZOGNA (LIBRO) - MARIANO FONTAINE

TITOLO: Le facce della menzogna
AUTORE: Mariano Fontaine
EDITORE: Prospettiva editrice

"La mia volontà era diventata un ricordo sbiadito."

Ciao a tutti lettori, si facciano avanti gli amanti del genere thriller perché oggi vorrei parlarvi de “le facce della menzogna” di Mariano Fontaine. Ringrazio nuovamente l’autore per avermelo inviato.

Dave McCage, un criminale affetto da un disturbo da personalità multiple e da poco evaso di galera, si aggira spavaldo tra i quartieri più squallidi di Boston, in mezzo a tossici, criminali e prostitute. Sulle sue tracce c'è l'agente federale Smith, un uomo grezzo la cui vita privata si sta lentamente sgretolando a causa della scomparsa della moglie, ma comunque disposto a tutto pur di incastrarlo.

"Le facce della menzogna" è un thriller psicologico dalle marcate connotazioni pulp che coinvolge il lettore all'interno di una trama intricata e complessa. La narrazione è sempre in prima persona e saranno i vari personaggi del romanzo a prendere voce a turno. Devo ammettere che questa impostazione mi ha un po' confusa: specialmente all’inizio, quando non si ha ancora dimestichezza con i personaggi del romanzo, ho avuto qualche difficoltà a capire chi avesse preso la parola in quel determinato frangente, difficoltà che però si è esaurita nel momento in cui sono entrata più in sinergia con il romanzo. Anche le linee temporali si alternano, raccontando talvolta il passato o il presente. In questo caso ho apprezzato particolarmente che i ricordi di Dave riguardo la sua infanzia, fossero riportati in un font diverso, così da capire subito quale filone temporale si stava raccontando in quel momento, altrimenti la narrazione sarebbe stata ancora più caotica.

I temi trattati sono molti e tutti abbastanza crudi: si parla di droga, di prostituzione e soprattutto di omicidi i quali vengono descritti nel dettaglio. Le descrizioni dei luoghi sono particolarmente curate, perciò è davvero facile calarsi nell’ambientazione e percepire il malessere in cui si trovano a vivere i personaggi stessi, esaltato anche dalla scelta del linguaggio duro e spinto. Questo è sicuramente un punto a favore dell’autore.

La trama è intricata ma comunque trasparente, cioè il lettore è a conoscenza degli avvenimenti di entrambe le fazioni, sia di quella del criminale Dave, che si racconterà in ogni minimo dettaglio, sia dell’agente Smith. E’ una tecnica narrativa che può piacere o non piacere, ma senza farvi spoiler, vi assicuro che le sorprese non mancano. Anche se sappiamo benissimo chi è il criminale, ci saranno altrettanti colpi di scena da scoprire, uno di questi è proprio il finale, che è davvero inaspettato.
Il romanzo si esaurisce in circa 150 pagine e questa è un po' una pecca secondo me: l’autore infatti mette tanta carne sul fuoco e nel momento in cui la trama arriva al suo culmine, il libro finisce. Questo è un vero peccato, perché secondo anche con solo 50 pagine in più, certe dinamiche sarebbero state approfondite un po' di più.

Lo consiglio agli amanti del thriller, specialmente a sfondo psicologico. Visto il finale sarei curiosa di sapere se c’è l’intenzione di un sequel, chissà.

sabato 27 giugno 2020

RECENSIONE PIGMEO (LIBRO)- CHUCK PALAHNIUK


TITOLO: Pigmeo
AUTORE: Chuck Palahniuk
EDITORE: Mondadori

“La vera intelligenza viene fuori quando smetti di citare gli altri”.

Ciao a tutti lettori, oggi ho deciso di parlarvi di “Pigmeo” dell’autore Chuck Palahniuk. Preparatevi perché è sicuramente un libro particolare.

La trama è la seguente: l’agente numero 67, o “Pigmeo” come lo chiamano gli altri, è un ragazzino straniero che approda negli Stati Uniti nell’ambito di un programma di scambio tra studenti, insieme a molti altri suoi concittadini. Tutti quanti vengono inseriti in famiglie ultracattoliche bianchissime che rientrano (almeno in apparenza) nello stereotipo della famiglia felice del mulino bianco. Quello che queste famiglie non sanno è che in realtà stanno ospitando sotto il loro tetto dei terroristi, arrivati in America solo con la scusa di uno scambio scolastico, ma con l’intenzione di compiere un attentato. Lungo i capitoli (che altro non sono che dei resoconti trascritti da Pigmeo in prima persona e diretti al suo quartier generale) scopriremo che lui e gli altri agenti sono stati educati dai loro superiori con un odio spietato ed esagerato nei confronti degli americani. 

Ovviamente Palahniuk sfrutta questa trama per ricavarne una satira della società americana di oggi: tanto razzismo, celato ovviamente sotto a kg e kg di finto buonismo, violenza, consumismo e fondamentalismo religioso. Certe scene sono talmente ciniche e ridicole tanto che risulta difficile non lasciarsi andare a qualche bella risata.

I personaggi, così come il resto della trama, sono caricature che rispecchiano pienamente un qualche tipo di stereotipo: avremo il bullo di scuola che in realtà ha avuto solo un’infanzia difficile, la casalinga perfetta che nasconde oggetti erotici nello scantinato e pensiamo allo stesso Pigmeo, il classico straniero che proviene da uno stato totalitario e fatalità è un terrorista. Quindi gli stereotipi ci sono tutti e anche se un po' banalotti, vengono resi in modo così caustico e simpatico da far scappare una risata a chiunque.

Arriviamo alla grande pecca (nonché genialata) di questo libro: il modo in cui è scritto. Il linguaggio è stentato, come quello che dovrebbe essere effettivamente il modo di parlare di un ragazzo straniero appena approdato in un nuovo paese. Il fatto che oltretutto debba essere un report, lo rende ancora più schematico. Sicuramente è un dettaglio originalissimo, non ho letto altri libri scritti in questo modo, sicuramente esistono ma non è una metodica così frequente. Aiuta a calarsi nella trama, questo sicuramente, perchè a tratti è come se il lettore sentisse parlare Pigmeo davanti a sé, ma (e questo è un grandissimo MA) rende davvero difficile la lettura. Ho letto in internet di tante persone che sono arrivate a circa 60 pagine e poi hanno abbandonato il libro. Devo essere onesta: ho pensato anch’io di abbandonarlo ma la trama a mio parere merita e mi sono imposta di andare avanti e terminarlo. Non potevo fare scelta migliore anche se probabilmente non ho capito proprio tutto.

Comunque sia la trama è ben sviluppata e piuttosto dinamica, incuriosisce il lettore fino alla fine. Il linguaggio è spinto ma questo è abbastanza tipico dell’autore, noto per non lasciare davvero nulla all’immaginazione. È sicuramente un romanzo che non annoia.

Quindi, tirando le somme, il libro mi è piaciuto? Si, il libro mi è piaciuto, anche se ha richiesto un certo sforzo in termini di concentrazione. Ho riso tanto e credo che questo sia decisamente un punto a favore dell’autore. Non è un libro che consiglio a tutti: il linguaggio spinto può non piacere e il modo in cui è scritto anche. Non tutti hanno voglia di concentrarsi così tanto per leggere un libro. Se vi interessa Palahniuk come autore, vi consiglio di leggere prima qualche altro titolo e poi di provare con questo.

giovedì 25 giugno 2020

RECENSIONE IL MOMENTO E' DELICATO (LIBRO)- NICCOLO' AMMANITI


TITOLO: Il momento è delicato
AUTORE: Niccolò Ammaniti
EDITORE: Einaudi

Ciao a tutti lettori, oggi ho deciso di parlarvi de “il momento è delicato” di Niccolò Ammaniti.
In questo caso non c’è da dire molto sulla trama perché il libro è una raccolta di racconti brevi. I temi trattati sono i più disparati ma comunque pienamente in stile Ammaniti: troviamo dei personaggi bizzarri calati in ambientazioni altrettanto particolari, ai limiti del reale. Un esempio può essere il racconto su un senza tetto volgarotto che per caso incontra per strada la diva dei suoi sogni erotici che cerca di sedurlo che termina in un finale a dir poco inaspettato. Troviamo però anche racconti horror che finiscono nel splatter, racconti fantascientifici e non mancano nemmeno i racconti a sfondo umoristico, quindi diciamo che all’interno di questo libro c’è di tutto un po'.
Chi mi segue da un po' o chi mi conosce comunque sa bene quanto io sia affezionata a quest’autore, c’è un unico libro che non mi ha entusiasmato ed è proprio questo. Ammaniti è noto per costruire scenari particolari con personaggi altrettanto anormali, tuttavia si intuisce sempre la morale o il malessere sociale e culturale a loro annessi. Qui non c’è, certo è ovvio non tutti i libri devono avere una morale o esprimere un qualche disagio sociale, ma in questo caso davvero i racconti non mi hanno trasmesso niente, a eccezione di 2 o 3. Spesso, addirittura, mi è sembrato che si finisse in scenari splatter così, totalmente a caso, senza una vera e propria motivazione dietro.
Nota positiva: bellissima prefazione dell’autore, dove spiega perché ha dato questo titolo al suo libro e racconta tutta la trafila infinita che ha dovuto subire prima dare alla luce questi racconti. Non è la prima volta che sento di un autore che ha passato l’inferno prima di pubblicare dei racconti brevi e anche nella mia cerchia di amici così come su instagram, sento spesso un astio per le raccolte di racconti, secondo me inspiegabile, dato che contrariamente io le adoro. Le raccolte di racconti sono mie compagne fedeli soprattutto in estate, quando sono stesa sotto l’ombrellone nella pausa tra una passeggiata e una capatina al bar; perché portarsi appresso un mattone infinito dove interrompere ogni due per tre la lettura, quando è possibile gustarsi un racconto di poche pagine, magari con un ottimo finale? Ecco che qui però arriva una grande premessa: devono essere interessanti!
Quindi in sostanza il libro mi è piaciuto? Non molto e questo è un vero peccato.

martedì 23 giugno 2020

RECENSIONE LA STRADA (LIBRO) - CORMAC MCCARTHY


TITOLO: La strada
AUTORE: Cormac McCarthy
EDITORE: Einaudi 

"E' così che fanno i buoni. Continuano a provarci. Non si arrendono mai."

Ciao lettori, oggi si torna a parlare di libri e in particolare di scenari post-apocalittici: è infatti arrivato il momento di parlare de “la strada” di Cormac McCarthy.

La trama è molto semplice: siamo in America e un uomo e un bambino (i loro nomi non saranno mai pronunciati) sono in cammino verso sud spingendo un carrello lungo una strada con le poche cose che gli sono rimaste. Circa 10 anni prima il mondo ha iniziato a disintegrarsi, diventando di fatto un luogo buio, freddo e grigio. Le poche persone sopravvissute sono o bande di predoni cannibali o disperati (non che far parte di una delle categorie escluda l’altra).

Sebbene la trama sia abbastanza semplice e lo spessore piccolo, “la strada” è un romanzo intenso che tiene il lettore incollato alle pagine con la speranza di un lieto fine (ho mai letto libri con lieto fine?!). Lo stile dell’autore è sicuramente essenziale, ci basti pensare che i personaggi non hanno nemmeno un nome. Ma, pensandoci bene, a cosa serve un nome in un mondo devastato dove l’umanità sta per scomparire? Trovare cibo è più urgente. Trovare medicinali è essenziale. Sopravvivere è la cosa importante, nient’altro. Ecco quindi che le descrizioni si ripetono così come i dialoghi e le vicende stesse dei personaggi. Potrebbe essere altrimenti, dopotutto, in un mondo dove non esistono più mestieri, hobby, o altro di simile? Tutti i capitoli si assomigliano esattamente come le giornate dei nostri protagonisti che hanno come unico scopo quello di sopravvivere alla giornata. Se da un lato questo potrebbe far annoiare il lettore, dall’altro lo cala esattamente all’interno della storia. Ci sono stati più momenti infatti in cui non mi sono sentita una semplice spettatrice della vicenda ma il libro mi ha coinvolta fino a farmi riflettere davvero su cosa avrei fatto io al loro posto: siamo in un mondo che sta per finire, gran parte degli esseri viventi sono estinti e l’uomo temo che sarà irrimediabilmente uno di questi e non si parla di possibili soluzioni. Ha davvero così tanto senso continuare ad esistere? Per continuare giorno dopo giorno a sopravvivere e basta? Anche i protagonisti del romanzo si troveranno più e più volte a discuterne, anche perché, intorno a loro, tantissime altre persone hanno scelto di farla finita. Quindi più volte anch’io nel corso della lettura, mi sono ritrovata a farmi le loro stesse domande; un punto sicuramente a favore per l’autore.
Le descrizioni dell’ambiente sono comunque originali e molto dettagliate: c’è un uso predominante del colore grigio, colore della cenere che ovunque sovrasta il paesaggio. Persino la neve, per chiunque simbolo di candore, qui è sporca e grigia. Tutto questo non fa altro che aumentare l’ansia e l’angoscia associata ai protagonisti ma anche nel lettore, tanto che risulta difficile anche solo immaginare che gli eventi possano ottenere dei risvolti positivi.

Sono molte tuttavia le domande a cui non otterremo risposta nel corso della lettura: ad esempio non viene mai esplicitamente detto come il pianeta sia arrivato in questa situazione e gli unici indizi che riceveremo derivano unicamente dai ricordi dell’Uomo (il padre del bambino appunto). Anche il finale, in un certo senso, si può definire “aperto”. E’ bello lasciare un margine di fantasia al lettore ma personalmente avrei apprezzato qualche dettaglio in più.

Dal libro è stato tratto l’omonimo film “the road” in inglese, disponibile anche su netflix. Ammetto di aver visto prima il film e dato che mi è piaciuto particolarmente ho deciso di leggere anche il libro.
Non nascondo che il libro mi ha un pochino delusa per lo stesso motivo che ho scritto sopra: speravo davvero che si facesse riferimento ad alcuni fatti che nel film vengono solo accennati, convinta che fossero semplicemente stati omessi dal regista. Comunque sia se vi piace il genere, ve lo consiglio e vi consiglio anche il film. Lo stile dell’autore mi è piaciuto molto tanto che penso di leggere altri suoi libri.

giovedì 18 giugno 2020

PRIMO DIARIO DI BORDO: PARIS JE T'AIME


Sono stata a Parigi in tutto 3 volte, l’ultima volta ad aprile dell’anno scorso, e che dire, sto già programmando la quarta! Questa città piena di colori mi ha rubato il cuore e sono qui oggi per raccontarvi un po' il perché! E’ la prima volta qui sul blog che racconto dei miei viaggi (spero sia solo l’inizio di un’abitudine che continuerà) quindi spero di essere abbastanza chiara e più dettagliata ma allo stesso tempo concisa possibile. Ho deciso di prendere come esempio per voi il mio ultimo viaggio, avvenuto appunto a Pasqua dell’anno scorso, dato che è stato anche il più lungo: 6 giorni!!
Se Parigi è una destinazione che avete in programma o anche semplicemente nella vostra wishlist dei luoghi da visitare, rimanete con me e vi prometto che non rimarrete delusi!
              
GIORNO 1: PARTENZA- ARRIVO- MONTMARTRE

Partiamo da Bologna con un volo Raynair acquistato strascontato molti mesi prima (sui 50 euro a testa a/r, visto il periodo festivo direi niente male) e arriviamo all’aeroporto Beauvais in tarda mattinata. Per raggiungere il centro di Parigi occorre prendere una navetta, ma le partenze sono molto frequenti e in meno di un’ora siamo già arrivati (CONSIGLIO: per risparmiare tempo e file, potete tranquillamente prenotare i biglietti sul sito online). Il modo per muoversi più velocemente all’interno di Parigi è la metropolitana, davvero ben strutturata e con moltissime linee. (CONSIGLIO! Diffidate da chi si avvicina a voi in metropolitana dicendovi che vuole aiutarvi a fare il biglietto: sono moltissime le truffe di questo tipo che vi faranno non solo perdere soldi ma anche la gioia di essere finalmente in vacanza. Noi ne abbiamo scampata una appena arrivati in città. Se non riuscite a farvi il biglietto alle casse automatiche, recatevi alla biglietteria. Se vi piace spostarvi in metropolitana comunque, vi consiglio di usufruire dei carnet multi-corsa). Un modo decisamente originale per muoversi inoltre, è l’uso dei monopattini elettrici: basterà scaricare un’app.
Arrivati a quello che sarà il nostro appartamento per i prossimi 6 giorni (preparatevi agli spazi parigini: striminziti ma super cool), lanciamo valige e borsoni vari per correre a pranzare ed esplorare subito la città (per me era la terza volta è vero, ma per il mio fidanzato la prima quindi era tutto una scoperta). Decidiamo di passare il pomeriggio nel quartiere del nostro appartamento: Montmartre.
Quartiere rialzato nella zona nord di Parigi, Montmartre trasuda romanticismo da tutti i pori. Pranzo veloce con una meravigliosa crepes salata (vi consiglio di assaggiarle almeno una volta, sono un pasto cheap e sostanzioso ma cercate di preferire locali meno turistici che le cucinano al momento, il mio preferito è la Creperie a Montmartre) e siamo pronti a perderci nelle meravigliose vie di questo quartiere. Da non perdere la via degli artisti, dove troverete pittori e artisti appunto di ogni genere, sempre ben disposti a chiacchierare con i turisti e a proporsi per realizzarvi un bellissimo ritratto o caricatura (alcuni hanno ottimi prezzi, potrebbe essere l’occasione per un souvenir davvero originale).  Al termine della via che domina Parigi dall’alto, si impone la basilica del sacro cuore (sacre coeur): anche qui vale assolutamente fare un breve visita all’interno. Le vie per arrivarci in realtà sono molteplici: è possibile arrivarci proseguendo lungo la via degli artisti, salendo le scalinate di fronte alla basilica (sconsigliatissime agli oziatori seriali) o con la funicolare. Un altro luogo molto caratteristico di questo quartiere è anche il muro “del ti amo” (mur je t’aim), nascosto all’interno di un piccolo giardinetto. A Montmartre sicuramente non mancano negozietti e boutique particolari e nemmeno bar e ristoranti ma, la nostra scelta per la cena ricade su “Le Refuge des Fondus”. Questo ristorante è una vera istituzione qui a Parigi e non manca mai nella mia lista quando organizzo un viaggio in zona. Amate la fonduta? Perfetto! Non amate la fonduta? Andate altrove, si perché la vera specialità del locale (o meglio l’unica cosa che servono oltre ad un simpatico aperitivo) è la fonduta, sia di carne che di formaggio. Conoscete poi un modo più originale di bere il vino se non all’interno di bellissimi biberon in vetro?! Insomma, se cercate un ristorante assurdo e decisamente sopra le righe dove gustare un ottimo piatto tipico francese ad una cifra più che onesta, questo è il posto che fa per voi (ATTENZIONE alle gentil donzelle verrà probabilmente chiesto di scavalcare il tavolo per potervi sedere dall’altro tavolo. Ma fa tutto parte del gioco no?!). Brilli e felici, ci godiamo una passeggiata abbastanza alternativa lungo la strada luminosissima di Pigalle, anche detto il quartiere a luci rosse. Proseguendo dritti lungo la via principale ci troviamo di fronte al Moulin Rogue, che vale la pena vedere di sera tutto illuminato.

GIORNO 2: MUSEO, MUSEO, MUSEO…GIARDINI DE TUILIER E SHOPPING SUGLI CHAMPS ELYSSE

Il secondo giorno ci svegliamo carichi per fiondarci in una mattinata tutta a sfondo culturale. Mentre io rientro ancora a pieno diritto nell’età che ancora garantisce l’esonero dei ticket (a Parigi gli under 25 infatti entrano gratis in quasi tutti i musei) il mio fidanzato “anziano” acquista la carta pass musei, che gli permette così di risparmiare una cifra notevole su tutti gli ingressi. Il primo è il museo de l’Orangerie, dimora di alcuni famosi e stupendi dipinti di Monet che ritraggono le sue affezionate ninfee. Terminata la visita è indispensabile una tappa “relax” ai bellissimi giardini di Tuileries, dove con l’arrivo del caldo, vengono posizionate una serie di sedie sdraio intorno alla fontana principale, sulle quali turisti e parigini si rilassano in cerca di frescura. Vi consiglio inoltre di assaggiare un gelato o un dolcetto dal furgoncino itinerante della famosa pasticceria Angiolina. Dopo un pasto rapidissimo e salutare da “Maisie Cafe”, è giunto il turno del Museo D’Orsay, noto per le collezioni impressioniste e post-impressioniste e per il particolare edificio che le ospita. Consiglio di munirvi di una lista di cose da vedere: l’ambiente è abbastanza caotico. Terminata la visita decidiamo di aver visto decisamente abbastanza musei per un giorno solo e ci dirigiamo verso gli Champs-Elysees per fare un po' di shopping tra i negozi. In fondo alla via, ci prendiamo giusto il tempo di scattare qualche foto all’Arco di Trionfo e torniamo verso il nostro appartamento.  Siamo decisamente stanchi e abbiamo camminato tutto il giorno. Quale occasione migliore per provare una delle invitanti rosticcerie etniche di Montmartre?! Cena gustosa e low cost da gustare scalzi e distesi a letto in appartamento…che meraviglia!

GIORNO 3: LOUVRE, MAIRES E MUSEO POMPIDOU

Il terzo giorno mettiamo la sveglia ad un’ora indecente per essere sicuri di non fare una fila scandalosa per entrare al Louvre. In realtà le code qui sono sempre abbastanza scorrevoli, complice il fatto che ci siano molteplici ingressi, ma arrivando per l’apertura si ha comunque la possibilità di evitare la ressa. Consiglio: scegliete prima le cose che vorreste vedere e controllate la giornata più giusta per fare visita al museo. Infatti non tutte le collezioni sono visibili tutti i giorni e noi lo abbiamo scoperto a nostre spese: purtroppo non siamo riusciti a fare la visita completa del reparto egizio poiché in quella giornata l’ala delle mummie era chiusa al pubblico e purtroppo il mio fidanzato ha perso quest’occasione. Selezionare in anticipo le opere da vedere vi permetterà inoltre di organizzarvi una visita ordinata e sarete sicuri di vedere tutto ciò a cui siete interessati: qui dentro si rischia davvero di perdersi! Per pranzo torniamo a Montmartre per gustarci un Croque madame e un Croque monsieur al Coquelicot (consigliato anche per le colazioni ma attenzione al personale non sempre garbato) e discutiamo sul da farsi. Decidiamo di rimetterci in viaggio verso il quartiere Marais, fulcro della vita universitaria e giovanile. Se Montmartre rapisce per l’atmosfera romantica, Le Marais cattura per la vivacità e modernità che trasudano da ogni edificio. A proposito di modernità, è proprio il Museo Pompidou la nostra destinazione successiva. E’ un museo mooooolto particolare e sono cosciente del fatto che possa non piacere a tutti, l’edificio stesso vi darà un forte indizio, tuttavia io consiglio di farci un salto. All’interno sono presenti davvero tante collezioni di arte moderna ed alcune installazioni sono davvero interessanti. Non mancano inoltre alcune chicche come la terrazza con le sculture e le fontane e numerose altre terrazze da dove ammirare una bellissima vista di Parigi dall’alto. Trascorrere la serata in questo quartiere è una buona occasione per scoprire locali alternativi e giovanili, noi optiamo per un delizioso piatto libanese al ristorante Tilal (un altro locale vi consiglio è il Baoli Bao).

GIORNO 4: VERSAILES, TOUR EIFFEL E RODIN

Ci svegliamo ed è la mattina di Pasqua, quale giornata migliore per fare visita alla reggia di Versailles? Raggiungerla è semplicissimo: basta prendere la RER (ferrovia francese) e in circa 30 minuti ci siamo! A questo punto però decidiamo di fare visita solo ai giardini esterni della reggia: io l’avevo già vista nel mio primo viaggio a Parigi e al mio fidanzato non interessava perciò l’abbiamo saltata. I giardini sono splendidi e vi consiglio di tenere a bada il sito internet della reggia, infatti una volta arrivati abbiamo scoperto che per la festività in questione era stata organizzata una giornata speciale all’interno del parco: danze di fontane su pezzi di musica classica e l’apertura straordinaria di alcune zone solitamente chiuse al pubblico. Come veri tamarri italiani in vacanza, ci gustiamo una baguette alla mortadella nelle panchine del parco, vista fontana. Sulla strada di ritorno alla ferrovia, ci imbattiamo in un carinissimo mercato di paese proprio a Versailles. Una volta rientrati a Parigi, decidiamo di fermarci nella stazione della RER posizionata proprio sotto la Tour Eiffel. Anche qui decidiamo di non salire sulla torre ma piuttosto di goderci un po' di meritato relax nei giardini di Marte, rimirandola da un po' più lontano (sono salita sulla torre sempre durante il mio primo viaggio a Parigi, sicuramente merita la vista dall’alto ma vi consiglio di prenotare in anticipo i biglietti oppure armarvi di molta pazienza). Sui Giardini di Marte è possibile fare anche piccoli pic nic. Dopo una breve pennichella ci incamminiamo verso il Museo Rodin. Questo museo non è sicuramente grande come gli altri che abbiamo visitato ma racchiude delle opere molto belle e anche la visita è ben organizzata. Sebbene di solito non si trovi in cima alla lista delle cose da vedere a Parigi, a mio parere il Rodin merita un piccolo ritaglio nel vostro soggiorno qui. Di rientro all’appartamento prendiamo una decisione un po' insolita per quanto riguarda la cena: entrare al supermercato, fare razzia di formaggi e salami francesi e lanciarci in una personalissima degustazione home made. Non potevamo fare scelta migliore.

GIORNO 5: BATOBUS, NOTRE DAME DA LONTANO, LE MARAIS E TOUR EIFFEL (ANCORA SI)

Ormai visto tutto ciò che principalmente ci interessava, decidiamo di usare questa giornata per visitare la città da un punto di vista un po' più particolare. Ci dirigiamo infatti alla fermata di batobus più vicina e facciamo un biglietto giornaliero che ci garantirà di salire e scendere quante volte vogliamo in ogni fermata di Parigi. Le barche a Parigi che forniscono servizi per turisti sono molte, comprese quelle panoramiche. Noi abbiamo optato per il batobus perché effettua fermate nei punti di maggiore interesse della città, le corse sono frequenti fino a tarda sera e il costo è ben proporzionato all’offerta. Raggiungiamo l’attracco più vicino a Notre Dame e cerchiamo di rimirarla dal punto più vicino possibile. Ad ogni mio soggiorno di solito pianifico una visita a questo monumento che ha contribuito moltissimo a farmi innamorare di questa città. Tuttavia, come di certo saprete anche voi, pochi giorni prima della nostra partenza c’è stato un terribile incendio della cattedrale, per cui non solo non ci è stato possibile farci visita, ma nemmeno entrare a Ile de la citè, isolotto dove è posizionata Notre Dame (sulla base dei miei viaggi precedenti, vi dico che la visita era tra le più belle da fare a Parigi). Dopo aver scattato qualche foto da lontano, ci riversiamo di nuovo tra le vie del quartiere Marais, dove abbiamo occasione di fare shopping a buon mercato e gustarci un bellissimo Waffle salato e uno dolce da Mon Waffle. Vi consiglio di perdervi il più possibile tra queste vie, ricche di locali alla moda, cioccolaterie boutique alternative (ho acquistato dei pantaloni stupendi in un negozio coreano da paura). Non mancano zone nascoste e suggestive come la corte dei miracoli.
Sul canale scoviamo un locale adorabile dove goderci un’orangina prima di riprendere il batobus e tornare nella zona della Tour Eiffel per scattare altre foto.  Qui scoviamo uno straordinario mercatino pasquale e veniamo nuovamente risucchiati nel vortice dello shopping. Rimaniamo fino a tarda serata per godere della bellissima vista della Tour Eiffel illuminata, uno spettacolo meravigliosamente pacchiano. Rientrati a Montmartre è giunto il tempo di salutare anche la basilica del sacro cuore, la via degli artisti e il mulino de la Galette mentre in lontananza la torre illuminata ci da la buona notte. La nostra ultima serata a Parigi è stata la più speciale e al nostro rientro in appartamento, il mio fidanzato mi sorprende con una scatola della pasticceria Pain Pain.

GIORNO 6: AUREVOIR PARIS, MON AMOUR.

La pioggia ci da il buongiorno nel nostro ultimo giorno a Parigi, il tempo è stato clemente per tutto il viaggio quindi il maltempo non rovina nulla. Procediamo con gli ultimi acquisti per i nostri souvenir a Pigalle e rientriamo per fare le valige. Prima della partenza c’è stato giusto il tempo per passare a salutare il bellissimo parco Tuileries e poi via, verso la navetta.
Per ogni attività che abbiamo fatto durante questo viaggio, ce ne sono altrettante da fare. Parigi è una città incredibile che sorprende in ogni angolo. E’ anche una città per tutti: coppie, single, comitive di amici e anche famiglie con bambini. E’ città di arte e cultura ma anche di moda e divertimento. Insomma, ce ne è davvero per tutti i gusti! E’ costosa? Ni, dipende da che tipo di vacanza cercate. Potrete comunque adattare il viaggio ad ogni vostro budget.


Visite che vi consiglio dai miei viaggi precedenti: cimitero Pere-Lachaise, Cattedrale di Notre Dame e la bellissima libreria Shakespeare.

lunedì 15 giugno 2020

RECENSIONE ANDATE TUTTI AFFANCULO (LIBRO) - ZEN CIRCUS


TITOLO: Andate tutti affanculo
AUTORE: Zen Circus e Marco Amerighi
EDITORE: Mondadori

"Qui confondono il dolore con le lacrime di gioia" (Ilenia).

Ciao a tutti lettori, scusate l’assenza ma nell’ultimo periodo ho avuto alcune cosette da sistemare. Riprendo alla grande però con questo libro “andate tutti a fanculo” degli zen circus scritto insieme all’autore Marco Amerighi. Per chi non lo sapesse gli zen circus sono un gruppo musicale italiano formatosi a Pisa negli anni 90 che negli anni ha acquisito sempre più fan ed importanza. Io mi sono appassionata alla loro musica ormai più di qualche anno fa e sono stata spesso ai loro concerti a cui partecipo sempre con molto piacere perché sono una di quelle band che dal vivo forse rende ancora più che su disco. “Andate tutti affanculo” è anche il titolo del loro primo disco inciso totalmente in italiano.
I componenti della band chiamano il romanzo la loro anti-biografia, questo probabilmente perché realtà e finzione si mescolano per tutto il libro, il quale racconta la nascita del gruppo e da dove siano nate alcune canzoni. Attraverso i vari capitoli conosceremo meglio Appino, voce e chitarra, Ufo, basso e Karim batteria ma anche tutta un’altra serie di personaggi fuori dal comune che hanno dato un contributo in qualche modo a questa band. Sullo sfondo, ma non al margine, troveremo alcuni dei momenti più significativi della storia italiana, come il G8 di Genova per esempio, che non solo ci aiutano a collocare gli avvenimenti in un preciso spazio e tempo, ma che rendono la storia ancora più caratterizzata e ci aiutano a capire qualcosina in più dei personaggi stessi. Si parlerà anche tanto di droga, eroina soprattutto e di come ha travolto la zona di Pisa.

Protagonista indiscussa del libro è lei: la musica. Musica che rapisce, attrae, emoziona e ti salva. L’essere umano è da sempre definito come un essere musicale, questo non è nuovo, il corpo stesso ha un ritmo e una musicalità tutta sua. Ma ci sono casi in cui la musica diventa davvero un’opportunità per evadere dalle realtà, per creare alternative o per alcuni addirittura per rinascere. E’ questo il caso dei nostri personaggi, a cui la musica ha regalato la possibilità di cambiare vita a tutti gli effetti.

Come dicevo all’inizio, verità e finzione si mescolano di continuo. Fin da subito il libro appare più 
come un romanzo che una vera biografia in se. Questo è un pro e contro secondo me perché se da un lato la storia è interessante e scritta in modo davvero accattivante, rendendolo una lettura adattissima anche a chi magari non è interessato al gruppo, dall’altro spesso non si riesce ad avere chiaro quanta finzione ci sia nella loro storia e quanto invece di reale. Comunque sia, tutti i personaggi del romanzo sono davvero ben descritti e si intuisce ogni singola sfumatura caratteriale. Il modo stesso di descrivere le loro emozioni o ciò che provano è molto coinvolgente tanto che spesso mi sono ritrovata a condividere i loro stessi stati d’animo con la stessa intensità. Ecco, questo è esattamente ciò che più ho apprezzato di questo libro: trasmette un’emozione. Non è scontato, soprattutto in un libro come questo da cui ci si aspetta di ottenere per lo più informazioni tecniche e non sulla nascita del gruppo. Devo dire che questo è anche il motivo per cui il libro mi ha coinvolto maggiormente: ammetto che io conosco molto bene l’insoddisfazione e la voglia di cambiamento che manifestano Appino, Ufo e Karim quindi sono riuscita ad entrare molto in empatia con loro durante la lettura ma, non solo. Mi sono sentita come se a loro volta potessero capire me. Questa sensazione sicuramente molto personale, l’avevo già provata ascoltando alcune loro canzoni, in particolare “Ilenia”. E’ come se i personaggi superassero la barriera della pagina ed entrassero davvero in connessione con il lettore. Mi sono spesso trovata a pensare “Cavolo, Appino, sai quante volte anch’io mi sono sentita come te?” oppure “allora non sono la sola a questo mondo a provare queste cose?”. Tutto ciò mi ha portato davvero a divorare il libro nel vero senso della parola, in 2 giorni o poco più.

Quindi tirando le somme, mi è piaciuto? Ve lo consiglio? Mi è piaciuto moltissimo e mi sento anche di consigliarvelo. E’ scritto bene e in modo molto scorrevole. Vi dirò di più: lo consiglio anche a chi non conosce il gruppo o a chi non ne apprezza la musica: sicuramente i fan lo adoreranno certo, ma la storia è così romanzata e ben scritta che potrebbe essere la trama di qualsiasi altro libro.

sabato 6 giugno 2020

RECENSIONE DA DOVE LA VITA E' PERFETTA (LIBRO)- SILVIA AVALLONE


TITOLO: Da dove la vita è perfetta
AUTORE: Silvia Avallone
Editore: Rizzoli

"L'aveva chiamata Bianca.
Come le cose bianche.
Le cose pulite e piene di luce."

Ciao a tutti lettori, oggi vorrei parlarvi di “Da dove la vita è perfetta” di Silvia Avallone. L’intero racconto si svolge a Bologna dove si intrecciano le storie di alcuni personaggi. Adele, una ragazza di appena 17 anni che vive ai Lombriconi (quartiere disagiato ai margini della città) scopre di essere rimasta incinta di Manuel, anche lui giovanissimo e che vuole a tutti i costi diventare ricco ma facendo poca fatica: spacciando droga in riviera e omologandosi pienamente allo stereotipo del ragazzo che vive in un quartiere malfamato. Nella stessa palazzina abita anche Zeno che invece ha deciso di prendere in mano il suo futuro dedicandosi allo studio, anche se per questo motivo viene preso di mira da tutti gli altri ragazzi. Nella Bologna benestante invece, vediamo la storia di Dora e Fabio, innamoratissimi, forse nemmeno loro sanno davvero quanto si amino, però l’assenza di un figlio apre una voragine nel loro rapporto, tanto grande che a momenti il loro amore sembra davvero non bastare. Come dicevo all’inizio, tutte queste storie, queste vite, si intrecciano tra loro, si sovrappongono. Quasi tutti i personaggi si incontreranno e si scontreranno fino ad arrivare ad una conclusione che davvero stringe il cuore.

“Da dove la vita è perfetta” è un romanzo pieno di contrasti. C’è il contrasto tra la bolofeccia, il quartiere disagiato dove vivono Adele, Manuel e Zeno insieme alle loro famiglie e la bolobene, la parte ricca dove vivono Fabio e Dora che si possono permettere praticamente tutto. C’è un contrasto nelle scelte dei personaggi: Zeno e Manuel sono coetanei ma, mentre il primo impugna la sua vita e cerca il cambiamento, il secondo cerca la via più facile per raggiungere i suoi sogni, sebbene sia anche quella più pericolosa. C’è il contrasto dell’età: tre dei protagonisti sono dei ragazzini e vedremo come arriveranno ad interagire con la coppia che invece è adulta e responsabile. Infine c’è il contrasto fondamentale, quello che secondo me è il più importante, tra la maternità di Adele e quella di Dora.

Per Adele la maternità è un dubbio, disorientamento. Non è sicura di voler essere madre e si vergogna, non vuole andare a scuola perché imbarazzata e non vuole essere presa in giro. La sua famiglia non ha un soldo da sbattere con l’altro, lei a fatica sa come si vive eppure deve iniziare a fare i conti la realtà. Deve crescere.

Per Dora invece la maternità è un desiderio ossessivo, l’unica cosa che manca per rendere la sua vita perfetta. E’ un desiderio così forte da fare male. Lei avrebbe tutto ciò che un figlio possa desiderare. Non ha problemi di soldi, lei e suo marito sono in gamba e si amano eppure la maternità le viene negata.

Personalmente sono riuscita ad entrare più in empatia con la storia di Fabio e Dora rispetto a quella degli altri personaggi. A volte davvero mi sono ritrovata a contare le pagine che mancavano prima di arrivare al capitolo successivo dove si parlava nuovamente di loro. Ho gioito con loro, ho sofferto con loro e sì, lo ammetto senza problemi, ho pianto con loro in più di una pagina. Mi è capitato anche di immedesimarmi in loro e di chiedermi “cosa farei se scoprissi di essere sterile? E il mio fidanzato? Mi vorrebbe ancora?”.

Un altro interrogativo che emerge durante la lettura è questo: “Quando ci si può definire dei bravi genitori? Come bisogna essere e cosa bisogna fare?”, ogni personaggio ha una propria opinione. Non c’è un unico modo di essere genitori e ammettiamolo il compito non è semplice. Penso che l’autrice si sia focalizzata molto sul tema della genitorialità e che i confronti tra le varie famiglie siano ben riusciti. Mi sono piaciuti molto i momenti in cui Fabio ripensava al rapporto con su padre chiedendosi che tipo di papà sarebbe potuto diventare.

Tirando le somme il libro mi è piaciuto? Molto. Mi ritengo anche abbastanza soddisfatta del finale. Se avessi potuto avrei fatto scelte diverse per alcuni personaggi ma è semplicemente un parere personale.

domenica 24 maggio 2020

RECENSIONE TUTT'ALTRO CHE TIPICO (LIBRO)- NORA BASKIN


TITOLO: Tutt’altro che tipico
AUTORE: Nora Baskin
EDITORE: Uovonero

"Mia madre vuole aiutarmi. Vuole che io sia felice. E io credo che mia madre voglia aggiustarmi. Vuole che sia più simile a lei, anche se lei non sembra poi tanto felice per la maggior parte del tempo. E se non può aggiustarmi, vuole almeno potersi spiegare perché sono così. Allora sta cercando un motivo. Un motivo che possa spiegare quello che sono.
Potrebbe essere:
Il mercurio nel vaccino trivalente
Un cromosoma capriccioso
Un gene mutante
Troppo burro di arachidi mangiato durante il primo trimestre
Insufficiente ossigeno durante il parto
Insufficiente burro di arachidi (esiste una cosa simile?)
Fumare durante la gravidanza (ma mia madre non fuma)
Forse è l'inquinamento dell'aria, o i fertilizzanti nelle verdure, o gli ormoni nel latte, le piogge acide, il riscaldamento globale. Forse sono le radiazioni emesse dalla televisione. O il microonde. O forse sono soltanto io."

Ciao a tutti, qualche giorno fa ho terminato la lettura di “Tutt’altro che tipico” di Nora Baskin. Ho deciso di parlarvene perché l’autismo è un tema che mi è molto caro: l’ho studiato a fondo e ci lavoro ormai da qualche anno. La sensibilizzazione in questi casi non è mai troppa, quindi se posso, perché non promulgare qualche lettura che possa aiutare qualche classe o qualche famiglia che si ritrova a dover affrontare questo tema ma non sa da dove partire?
Tutt’altro che tipico” è il racconto di Jason, un ragazzino adolescente a cui da bambino è stata fatta la diagnosi di autismo. Le persone che lo circondano sono neurotipiche e spesso è faticoso per Jason sopperire alle loro richieste, molte delle quali non comprende. Jason però è riuscito a ritagliarsi un pezzetto di mondo tutto suo, pieno di lettere che formano parole e che a loro volta formano bellissimi racconti che Jason pubblica con entusiasmo su un sito dedicato alla scrittura: storyboard. E’ proprio qui che fa la conoscenza di PhoenixBird, una ragazza che come lui ama postare i suoi racconti sul sito nel tentativo di migliorare la sua scrittura. Jason inizia a fantasticare su come possa essere la ragazza nascosta dietro a quell’interessante nickname, desideroso di poterla un giorno incontrare. Ma se PhoenixBird non fosse in grado di vedere oltre il suo disturbo? Jason non è sicuro di voler correre questo rischio.
“Tutt’altro che tipico” è un romanzo per ragazzi e non solo (sono giovane è vero, ma non così tanto purtroppo) che ci mostra il mondo attraverso gli occhi di un protagonista d’eccezione: è proprio Jason in prima persona che ci racconterà ogni cosa, dal rapporto con i suoi familiari alle giornate stressanti a scuola. Lo fa in prima persona perché il suo scopo è quello di farci immedesimare in lui, capire il suo punto di vista: non poteva esserci scelta più azzeccata.
I temi affrontati sono quelli dell’amicizia, della famiglia e della disabilità. Vengono spiegati con un linguaggio semplice e intrigante (perché effettivamente alcuni avvenimenti si colgono ma non sono descritti nei minimi dettagli). Ciò che più ho apprezzato in particolare è come viene affrontato il rapporto tra Jason e la madre: viene descritto questo tipo di amore insolito che non viene manifestato con gesti eccessivamente affettuosi o con grandi discorsi. E’ un amore spesso fatto di silenzi, di sensazioni, di comprensione reciproca: Jason non salta al collo della madre baciandola né tanto meno la riempie di parole dolci però questo non significa che non le voglia bene esattamente come ogni altro ragazzino della sua età anzi, le è davvero legato. Ci sono parti del libro che stringono il cuore dove Jason intuisce che la madre si sentirebbe più a suo agio se si comportasse in modo “normale” quando si trovano in pubblico in mezzo ad altre persone, non è lei a chiederglielo ma è facilmente intuibile da come lo guarda o come si comporta, però lui non può farlo, non riesce a non essere sé stesso e questo gli dispiace non tanto per lui, ma per sua mamma. Jason intuisce che i genitori vorrebbero aiutarlo, guarirlo, ma non possono e questo spesso è frustrante: è bello pensare di poter risolvere ogni problema della persone che amiamo, ma non sempre è possibile.
Ho trovato questo romanzo sufficientemente realistico e non è facile quando si parla di disabilità. Mi è capitato di leggere libri al riguardo che peccavano di eccessivo buonismo: il ragazzo disabile all’inizio del libro è snobbato, guardato con distacco, preso in giro ma ecco che alla fine tutti gli sono amici, lo adorano, tutti vogliono giocare con lui. L’utopia è dolce e attira il mercato, ma la realtà è un’altra cosa e in questo caso, a mio avviso, viene spiegata bene
. Motivo in più per consigliarvi questo libro!
Concludendo il libro mi è piaciuto? Si e lo consiglio a tutti i ragazzi e adulti interessati all’argomento. Potrebbe essere un buon punto di partenza per sviluppare l’argomento in una classe scolastica o perché no, all’interno di una famiglia che ne ha l’esigenza.


venerdì 22 maggio 2020

RECENSIONE COME DIVENTARE BUONI (LIBRO)- NICK HORNBY



TITOLO: Come diventare buoni
AUTORE: Nick Hornby
EDITORE: Guanda

"Il trucco sta tutto nel tenere alla larga il rimpianto."

Ciao a tutti lettori, oggi vorrei parlarvi di “Come diventare buoni” dell’autore Nick Hornby.
Katie è una donna che pensa di essere una persona davvero buona: ha scelto di fare il medico per aiutare il prossimo, è una moglie fedele e una madre affettuosa che cerca sempre di insegnare dei sani principi ai suoi due figli. Il marito David è esattamente l’opposto invece: è sempre piuttosto nervoso, impreca e cura una rubrica sul giornale locale dove si è autoproclamato “l’uomo più arrabbiato della città” dove ogni giorno sceglie un argomento di cui lamentarsi (come per esempio gli anziani che prendono l’autobus o il teatro). I due si trovano ad affrontare una crisi matrimoniale che si basa fondamentalmente su questo e sul fatto che entrambi non sono più felici. Questa linea s’interrompe quando Katie inizia una relazione con un altro uomo e tradisce il marito, finendo poi per confessarglielo. David improvvisamente cambia, capisce che la sua vita non può continuare in questo modo e dedica tutto sè stesso nel cercare di diventare buono.

Ed ecco che arriviamo al grande interrogativo che emerge da questo libro: come si fa a diventare buoni? Quando una persona si può definire buona?

Tutti i personaggi all’interno della storia attribuiscono alla parola bontà un significato tutto loro. Katie pensa di essere buona semplicemente perché è un medico, mentre secondo David bisogna fare qualcosina in più, quindi lo vedremo lanciarsi in campagna eccessive e buoniste come cercare di far adottare ad ogni famiglia del quartiere un senza tetto o regalare tutti i giocattoli dei figli. Ci sarebbe tanto altro da dire sulla trama ma non vado oltre perché altrimenti vi direi tutto e non ha senso che poi lo leggiate.

Come diventare buoni” è un romanzo pungente e cinico dalla trama originale. Quanti libri avete letto in cui i protagonisti sono sposati e stanno affrontando una crisi matrimoniale? Io ne ho contati almeno 5 ma nessuno di quelli che ho letto si avvicina a questo. Qui il tema trito e ritrito della crisi coniugale fa da sfondo ad una critica sociale molto più ampia della borghesia inglese piena di frasi ipocrite e buoniste. David da un giorno all’altro decide di diventare buono portando cibo ai barboni, donando tutti i soldi che ha nel portafogli ai mendicanti e altre cose del genere e così facendo sua moglie Katie non può far altro che rendersi conto che non basta essere un medico per essere definiti buoni, ma bisogna dimostrarlo in tanti modi. Quindi chi è il vero cattivo nella storia?

Oltre a questa riflessione però (e all’alta dose di Humor inglese che io adoro e per questo continuo a leggere Hornby), il libro non è che mi sia piaciuto moltissimo. I personaggi sono davvero detestabili, tutti quanti, nessuna eccezione nemmeno per i bambini. Non si sopportano nemmeno tra loro quindi come potrei farlo io? Katie ripete davvero le stesse cose almeno 30 volte e poi ci sono delle situazioni in cui l’autore si è dilungato davvero troppo rendendo la lettura un po' piatta e noiosa. Un vero peccato perché i presupposti per un bel libro c’erano tutti e mi dispiace: la trama è davvero carina.
Quindi concludendo: mi è piaciuto? Ni, un po' si e un p’ no. Direi 2 stelle e mezzo.  

domenica 17 maggio 2020

RECENSIONE A SUD DEL CONFINE A OVEST DEL SOLE (LIBRO) - MURAKAMI



TITOLO: A sud del confine a ovest del cuore
AUTORE: Murakami
EDITORE: Feltrinelli

“La nostra memoria e le nostre sensazioni sono troppo incerte e unilaterali e quindi, per provare la veridicità di alcuni fatti, ci basiamo su una "certa realtà". Ma quella che per noi è realtà, fino a che punto lo è davvero e fino a che punto è quella che noi percepiamo come tale? Spesso è addirittura impossibile distinguere tra le due. Quindi, per ancorare nella nosra mente la realtà e provare che sia tale, abbiamo bisogno di un'altra realtà attigua che possa relativizzare la prima.”

Ciao a tutti, eccomi qua a parlare di “a sud del confine a ovest del sole” dell’amatissimo autore Murakami.

Hajime è un comune uomo giapponese che vive a Tokyo con la moglie e le figlie che ama tantissimo. Di recente ha coronato anche il suo sogno: aprire un jazz bar tutto suo. In questo presente appagante tuttavia si ritrova spesso a pensare al suo passato e a Shimamoto. Hajime non ha vissuto un’infanzia particolarmente entusiasmante: essendo figlio unico in un momento in cui in Giappone tale condizione non era vista di buon occhio e quindi criticata dalla società, da bambino si è sempre sentito diverso dagli altri, trovando conforto nel rapporto con Shimamoto, amica e compagna di scuola, con la quale condivideva le sue passioni più grandi tra cui appunto la musica. Il ricordo di Shimamoto è però avvolto in sentimenti imprecisi e malinconici. Hajime ha sempre l’impressione che sarebbe potuto nascere qualcosa tra loro ma purtroppo così non è stato e il fatto di aver perso i rapporti con lei col passare degli anni lo rattrista molto. Ecco che però, all’improvviso Shimamoto riappare e questo cambierà per sempre la vita di Hajime.

“A sud del confine a ovest del cuore” è un romanzo delicato e introspettivo in cui troverete ben poca azione. Il libro infatti segue ed analizza i sentimenti e i dubbi più nascosti del protagonista Hajime che cerca di comprendere il suo passato per riuscire a collegarlo a quello che è il suo presente, di cui non è più tanto sicuro.

Devo dirvi la verità, questo protagonista non è che mi sia sempre piaciuto: è molto concentrato su se stesso ed egoista e non riesce ad esserne sempre consapevole quindi lo vedremo combinare qualche danno qua e là tra i capitoli. Però, così come tutti i personaggi di Murakami è davvero ben caratterizzato e coerente durante tutto il corso della storia.

Non c’è molto altro da dire sul libro in realtà, perché è tutto qui. Se vi dicessi qualcosa in più sulla trama finirei per fare degli spoiler inutili, quindi eviterei.

A sud del confine a ovest del sole” è un romanzo leggero e semplice. Descrive una storia d’amore? Forse a suo modo si, ma in realtà è più concentrato sulle turbe del protagonista quindi non lo definirei un romanzo rosa sicuramente. E’ un libro che sicuramente non spicca tra le opere di Murakami che è diventato famoso per storie decisamente più intense, però se vi piace il genere vale la pena leggerlo.

RECENSIONE SEMINA IL VENTO (LIBRO)- ALESSANDRO PERISSINOTTO

TITOLO: Semina il vento
AUTORE: Alessandro Perissinotto
EDITORE: Piemme

"I signori dell'odio siedono in comodi scranni parlamentari o in grandi palazzi ricchi e ornati; si illudono di poter usare quell'odio in dosi medicinali, magari omeopatiche, e poi di riuscire a controllarlo, come una terapia che dovrebbe distruggere solo le cellule malate. Ma l'odio non si controlla; l'odio rompe gli argini e dilaga, si alimenta di se stesso e travolge tutto: il ventesimo secolo ce l'ha insegnato, ma noi non abbiamo imparato nulla. Chi semina il vento raccoglierà tempesta."

Eccoci qua lettori. Oggi vorrei parlarvi di questo libro: “Semina il vento” di Alessandro Perissinotto. Ho letto questo libro ormai parecchi anni fa, quando ero in terza o quarta superiore, perché partecipai al concorso bancarella e lo scelsi come lettura da recensire, quindi in sostanza questa è la seconda recensione che faccio a questo libro.

Il racconto parte con Giacomo Musso, un maestro di 35 anni recluso in un carcere di massima sicurezza del nord Italia. Su di lui pesano delle accuse piuttosto gravi che lo riterrebbero coinvolto nella morte della moglie Shirin. Su consiglio dell’avvocato, Giacomo inizia quindi a raccogliere in un diario la serie di eventi che lo ha condotto in quella situazione. Giacomo in realtà inizia il racconto da molto prima della morte della moglie, parte infatti dal raccontare il periodo in cui si sono conosciuti: entrambi abitavano a Parigi e, mentre lui era originario di un paesino molto piccolo del nord italia, Shirin è di origine iraniana. La ragazza però è una donna molto emancipata, ha un lavoro ben retribuito, frequenta le spiagge nudiste e si sente libera di fare ciò che vuole, senza rendere conto a nessuno nemmeno ad una religione in particolare. Nasce un amore folle, incredibile, che li travolge e li spinge a sposarsi. Tutto è apparentemente perfetto finchè non decidono di andare a vivere nel paese di Giacomo, in Italia: un paese piccolo, di poche anime, molto legato alle tradizioni e anche purtroppo piuttosto ottuso. E’ qui che le cose inizieranno a prendere una direzione complicata.

Semina il vento” è un romanzo molto delicato che tratta tematiche che, nonostante siano passati alcuni danni dalla sua pubblicazione, rimango molto attuali. Si parla infatti di razzismo, di odio e difficoltà ad accettare l’altro, soprattutto quando si tratta di religione. Tutte queste tematiche vengono calate all’interno di questo paesello in nord Italia che, e mi duole molto dirlo, ricorda vagamente anche quello in cui sono cresciuta io e che penso rispecchi la realtà di tanti paesi in giro per l’Italia senza fare differenze tra nord e sud.

Una parola molto utilizzata all’interno del libro è “tradizione”. L’odio o il razzismo di molti dei personaggi del libro infatti si cela dietro questa parola. Perché? Perché qualsiasi tentativo da parte dei due protagonisti di proporre qualcosa di “alternativo”, moderno, o semplicemente più laico all’interno del paese verrà solo interpretato come un tentativo di spogliarlo dalle proprie tradizioni che sono li belle fossilizzate da anni. Ecco quindi che “diverso” all’interno del libro diventa un appellativo non solo per chi è straniero o per chi ha una religione diversa, ma anche per chi si definisce semplicemente laico o per chi, ancora peggio, ha solo un’opinione che si discosta da quella delle altre persone. Questo nel libro viene accentuato anche dall’uso ricorrente del dialetto del luogo, che è un particolare aggiunto secondo me originale e ben studiato per far passare ancora di più questo concetto di chiusura.

Semina il vento” mi è piaciuto molto. E’ una bellissima storia d’amore che fa da sfondo ad una realtà ancora oggi presente. Il linguaggio è scorrevole e il libro è articolato in modo tale da far crescere la curiosità del lettore pagina dopo pagina fino ad arrivare ad un finale un po' scontato: una pecca purtroppo è proprio questa. Lo consiglio un po' a tutti e si traggono moltissimi spunti di riflessione: una, non scontata ahimè, è che non tutti i seguaci di religioni diverse dalla nostra sono vittime da salvare. Di crociate ce ne sono state anche troppe, meglio dedicarsi a qualcos’altro.

RECENSIONE BROKEN (LIBRO)- DANIEL CLAY


TITOLO: Broken
AUTORE: Daniel Clay
            

“Ma la dura realtà è che se non fate le scelte giuste in questi anni (...) allora probabilmente resterete per sempre quello che siete una volta arrivati ai venticinque anni.”

Ciao a tutti lettori, oggi vi parlo di “Broken” dell’autore Daniel Clay. (Date uno sguardo alla copertina per favore, non è meravigliosa?!).

Il libro inizia con Skunk, la protagonista, in coma in un letto di ospedale, con il padre che le chiede di svegliarsi. Quindi partiamo già un po' strong. Ciò che segue non è altro che il racconto di tutti gli eventi che hanno fatto si che lei finisse in questa condizione. La causa vera e proprio la scopriremo molto più tardi, praticamente alla fine del libro (Non temete perché non sarà affatto banale). Ma chi è Skunk? E’ una bambina di 11 anni che vive in un quartiere della periferia inglese, insieme al padre, al fratello maggiore, con cui ha un bellissimo rapporto, e la tata. La sua vita è fatta di sogni, tanta immaginazione e un futuro tutto da scoprire. Purtroppo, l’ambiente in cui vive è il covo dell’illegalità e del disagio. A fare da padrone nel quartiere dove vive è una bizzarra famiglia capitanata da un padre tossico che campa di espedienti e le sue 5 figlie, bulle nate che creano scompiglio in tutta la città. Dal suo letto di ospedale Skunk cerca di capire la spirale di eventi che ha sconvolto il quartiere e la sua vita, svelandoci pian piano il mistero che l’ha messa in questa situazione.

Broken” è un romanzo intrigante da leggere tutto d’un fiato. La trama è accattivante, ha un ritmo incalzante e scorrevole.

Una cosa che mi è piaciuta tantissimo del libro è che c’è una sorta di effetto farfalla, per cui le scelte di ciascun personaggio si ripercuotono sugli altri creando un vortice di eventi irreparabile e che non è possibile fermare. I personaggi che entrano in scena sono moltissimi quindi gli intrecci che si creano sono davvero tanti e anche abbastanza intriganti.

Un’altra cosa che ho apprezzato davvero tanto del libro è la contrapposizione che l’autore ha creato tra l’innocenza e l’ingenuità di Skunk e l’ambiente meschino e ottuso che la circonda. Se ne vedono di tutti i colori, dalla violenza fisica e psicologica, al furto e al bullismo, ma è sempre possibile cogliere la dolcezza e l’amore che sta dentro a tutte le cose. Ci sono dei momenti che secondo me sono carinissimi in cui Skunk torna a casa da una brutta giornata (magari è stata inseguita dai bulli o ha ricevuto una brutta notizia) e si mette in camera con il fratello a giocare ai videogiochi e questo sembra riparare tutto.

Chicca finale, secondo me, è il monologo della protagonista che incontriamo alla conclusione del romanzo. In moltissimi libri c’è una parte in cui si cerca di toccare le corde altissime di chissà quale filosofia parlando di amore, giustizia e del senso della vita, ottenendo come unico risultato un pippone infinito di cui è difficile anche afferrare il senso generale figuriamoci degli spunti di riflessione. Ecco qui invece, almeno sempre secondo me, l’autore riesce a toccare le note giuste dando una buona conclusione al libro e tenendoci con il fiato sospeso fino all’ultima pagina.

Quindi arrivando in conclusione, il libro mi è piaciuto? Molto. Il genere è quello che mi piace, il libro ha una lunghezza giusta (circa 300 pagine) e la trama è coinvolgente. A tratti mi ha ricordato i libri di Ammaniti e chi mi segue da un po' sa quanto io lo adori. Ho cercato su internet qualche altro parere e sono stata triste nel constatare che in realtà non se ne parla molto, quindi andate subito a leggerlo!!

RECENSIONE SOFFOCARE (LIBRO)- CHUCK PALAHNIUK


TITOLO: Soffocare
AUTORE: Chuck Palahniuk
EDITORE: Mondadori

“Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, il mio ego, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso.”

Ciao a tutti lettori, oggi vorrei parlarvi del libro “Soffocare” di Palaniuk. L’autore ha un modo di scrivere molto particolare e molto crudo soprattutto, chi ha letto i suoi libri lo saprà. Il suo stile o si ama o si odia, non ci sono molte vie di mezzo. A me personalmente piace, anche perché le storie di cui parla sono sempre abbastanza particolari ed è difficile trovare qualcosa di banale, per questo ho deciso di parlarvene e di iniziare da Soffocare, che è stato per me il primo approccio a Palaniuk.
Victor Mancini è un giovane americano, studente di medicina fallito con un lavoro arrangiato da cui riesce a ricavare un piccolo stipendio. Nella sua assurda esistenza fatta di incontri per sesso-dipendenti e vivendo alla giornata, Victor ha però trovato un modo molto ingegnoso di guadagnare il denaro necessario a mantenere la retta dell’ospedale dov’è ricoverata la madre. Ogni sera infatti, si reca in uno dei tanti ristoranti di lusso della città dove finge di soffocare con il cibo per farsi salvare dal primo animo nobile presente in sala, potremmo anche chiamarlo malcapitato di turno. L’intento di Victor è molto subdolo: far nascere nel salvatore un sentimento fortissimo di pietà e gratitudine che induca il malcapitato nel sentirsi in obbligo ad inviargli periodicamente dei soldi.
E’ Victor in prima persona a renderci partecipe del suo racconto crudo e sincero che descrive la vita di un uomo in perenne bilico emotivo. Appare come un uomo egoista, cinico e forse apparentemente incapace di provare sentimenti che invece nasconde un profondo disagio e una ricerca disperata di amore.  
L’autore si focalizza molto sul rapporto tra Victor e la madre. Al momento della narrazione la madre di Victor è in punto di morte: è molto anziana e vive in questo ricovero pagato dal figlio. Però Victor ci racconterà tra i capitoli il suo passato, come è cresciuto e il rapporto ambivalente con la madre. Non viene descritta come una donna dal forte istinto materno, tanto è vero che Victor ripete più volte che lei è la causa di tutti i suoi mali. Eppure lui sembra sempre alla perenne ricerca del suo amore e del suo affetto.
Arrivando alla conclusione Soffocare mi è piaciuto, non è tra i miei libri preferiti ma sicuramente è una lettura che vi consiglio. E’ un buon mix tra dramma ed ironia come più o meno tutti i libri di Palaniuk. Certo è che non è per tutti, il linguaggio è molto diretto e crud, ma se non avete mai avuto un approccio con questo autore vale la pena tentare.

RECENSIONE TI PRENDO E TI PORTO VIA (LIBRO)- AMMANITI



TITOLO: Ti prendo e ti porto via
AUTORE: Ammaniti
EDITORE: Mondadori

“..perchè nella vita le cose passano sempre, come in un fiume. Anche le più difficili che ti sembra impossibile superare le superi, e in un attimo te le trovi dietro le spalle e devi andare avanti. Ti aspettano cose nuove.”

Ciao a tutti, oggi ho deciso di parlarvi di un libro per me molto speciale: “ti prendo e ti porto via” di Niccolò Ammaniti. Ho adorato questo libro e lo considero forse uno dei migliori libri tra quelli scritti da Ammaniti. Non l’ho recensito fino ad ora per una sorta di timore reverenziale, perché sentivo di dover fare ancora un po' di pratica prima di parlarvi del mio libro preferito.

Ischiano Scalo, un paese di periferia pieno di paludi, è teatro di due differenti storie d’amore che sbocciano parallelamente. La prima è tra due adolescenti Pietro e Gloria che frequentano la stessa classe a scuola ma che provengono da due realtà molto differenti tra loro: Gloria, che è anche una ragazzina brillante e molto spigliata, è la figlia di un direttore di banca e la sua famiglia è molto ricca mentre Pietro che al contrario appare come un ragazzino timido, introverso che cerca sempre di sfuggire dai bulli del quartiere che lo perseguitano, proviene da una famiglia di pastori, povera e anche piuttosto ignorante(tra l’altro il padre viene descritto anche come un mezzo psicopatico). A questi due si affiancano altri due personaggi principali, l’uno esattamente l’opposto dell’altra: Graziano è un musicista sciupafemmine che ritorna senza una lira al suo paesino natale dopo tanti anni (che è lo stesso dove vivono Gloria e Pietro) per leccarsi le ferite della sua ultima delusione d’amore, mentre Flora, che è anche l’insegnante di Pietro e Gloria, è una donna solitaria e misteriosa, che ha annullato se stessa e le sue ambizioni per prendersi cura della madre gravemente malata. Tra questi personaggi che sono in apparenza così lontani, nasce un’irresistibile attrazione che li spinge a cercarsi. Nel libro ovviamente sono disseminati altrettanti personaggi che abitano Ischiano Scalo e che si muovono intorno a loro dando un contributo alla storia.

“Ti prendo e ti porto via” non è una banale storia d’amore, quindi dimenticatevi gli stereotipi del classico romanzo rosa. E’, secondo il mio modesto parere, un modo molto più realistico di vedere l’amore. Nella storia in fin dei conti si possono distinguere due tipologie di amore che bene o male tutti affrontiamo nella vita. C’è quello tra Pietro e Gloria che è tutto una scoperta, un sentimento che c’è, esiste, che sicuramente è più di un’amicizia ma che ancora si fa fatica a descrivere e lo si idealizza. Poi, dall’altro lato vediamo quello tra Graziano e Flora che invece è un tipo di amore adulto, consapevole, da vivere con calma e attenzione perché la fregatura è sempre dietro l’angolo e il passato ancora brucia. Il linguaggio stesso con cui è scritto è piuttosto crudo e non lascia nulla all’immaginazione.

Le vicende dei personaggi non solo avvengono parallelamente ma si intrecciano in continuazione. Il paese descritto è anche piccolo quindi è una realtà dove più o meno si conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti. La narrazione si alterna quindi nei vari personaggi e una cosa che ho apprezzato tanto è la presenza di side story, cioè brevi storie fini a se stesse inserite penso per dare più corposità e profondità al contesto. Ammaniti utilizza spesso questa tecnica nei suoi libri ma qui secondo me è ancora più riuscita perché attraverso queste piccole storie autoconclusive che riguardano altri personaggi che circondano i protagonisti, ci caliamo in tutto e per tutto nel libro. Io sono arrivata ad un punto tale per cui sembrava che l’intera storia si svolgesse vicino a casa mia.

Anche in questo libro Ammaniti da vita a dei protagonisti completi sia dal punto di vista delle descrizioni fisiche che dal punto di vista psicologico. Io personalmente mi sono legata moltissimo al personaggio di Pietro che cerca di scrollarsi in tutti i modi dalle sue origini, tentando di riscattarsi in qualche modo, sognando un futuro diverso e lontano. Cerca di trarre il meglio da ogni opportunità che gli si trova di fronte anche se piccola, come per esempio Gloria. Ma gli ostacoli sono sempre dietro l’angolo e questi ostacoli non sono solo i bulli, ma spesso e volentieri anche la sua famiglia purtroppo.

Concludendo quindi, “ti prendo e ti porto via” non solo mi è piaciuto, ma mi è piaciuto così tanto da diventare uno dei miei libri preferiti. E’ il primo libro che consiglio quando qualcuno in cerca di letture mi interpella. Lo consiglio a tutti perché comunque credo che sia un romanzo che si legge molto bene indipendentemente dal genere di lettura a cui una persona può essere legata. Però tenete sempre a mente che lo stile di Ammaniti è il noir e le cose non sempre scorrono lisce e rilassate quindi…non abbassate mai la guardia.

RECENSIONE CERCANDO ALASKA (LIBRO)- JOHN GREEN



TITOLO: Cercando Alaska
AUTORE: John Green
EDITORE: Rizzoli

“Che cavolo vuol dire "morte istantanea"? Niente è istantaneo. Il riso istantaneo è pronto in cinque minuti, il budino istantaneo in un'ora. Ho i miei dubbi che un istante di dolore accecante sembri particolarmente istantaneo.”

Premetto che scelsi questo libro tanti anni fa incuriosita dal titolo e che mi ero talmente tanto incaponita nel volerlo con questa copertina, che ho dovuto aspettare tantissimo prima di trovarlo e poterlo leggere. Quindi le aspettative erano abbastanza alte.
Miles è un adolescente solitario e molto colto a cui piace collezionare le ultime parole dei più noti personaggi della storia. Decide di lasciare casa sua per iscriversi ad un collegio molto prestigioso in Alabama, dove aveva già studiato anche il padre ma non ha molti amici da lasciarsi alle spalle quindi molla tutto senza troppe lacrime, molto emozionato di iniziare la ricerca del suo Grande Forse, da intendersi come una svolta diciamo. Qui riesce inaspettatamente a fare amicizia molto facilmente, in particolare con il suo compagno di stanza (che chiamano tutti il Colonello) e la sua piccola compagnia. Sarà lo stesso Colonello a presentargli Alaska, una ragazza bellissima, intraprendente, esuberante, brillante ma anche estremamente enigmatica. Miles rimarrà talmente colpito da Alaska da esserne quasi ossessionato, in senso buono ovviamente. Non è di certo un romanzo che parla di stalking o roba simile, però percepiamo tra le pagine quanto Miles sia attratto da questa ragazza, tanto da voler conoscere ogni cosa sul suo conto.
“Cercando Alaska” è un romanzo dalla trama accattivante che incuriosisce già dall’impostazione delle pagine: il libro infatti si articola in un prima e un dopo, quindi appena iniziamo a leggere intuiamo che prima o poi dovrà avvenire qualcosa che stravolge la storia di base. Un fatto che però avviene superata da un bel po' la metà del libro e al quale il lettore in fondo già si prepara.
Tuttavia, nonostante la trama incuriosisca molto e sia anche accattivante, il libro mi ha un pochino delusa. Le tematiche trattate sono circa quelle presenti in quasi tutti i libri che leggo ma in questo caso, non mi sono arrivate. Come se la maggior parte dei fatti raccontati nel libro non mi abbiano trasmesso nulla. Non sono riuscita a calarmi nei personaggi, a prendere il loro punto di vista o a trovare un qualcosa che potesse connetterci. In gran parte dei capitoli mi sono resa conto di non essere legata più di tanto alla narrazione: capivo cosa stesse succedendo ma non mi toccava più di tanto, eccetto forse in qualche momento.
Non lo so, mi è mancato qualcosa. Forse abituata ai drammi in stile Ammaniti, ormai non mi scuote più nulla. Non so.
Comunque, tirando le somme, il libro non mi ha colpito, però non mi sento nemmeno di farne una recensione del tutto negativa. Penso anzi, che sia molto adatto per lettori adolescenti o per chi cerca comunque una lettura leggera.

Recensione Acciaio- Silvia Avallone





TITOLO: Acciaio
AUTORE: Silvia Avallone
EDITORE: Rizzoli


“In realtà c'era un sacco di gente che era uscita pensando di trovare l'America in un pattinodromo, e che poi si era trovata più sola che a casa”

Ciao a tutti, eccomi qua per parlarvi di un libro che mi è piaciuto moltissimo: “Acciaio” di Silvia Avallone. Anna e Francesca sono due adolescenti di 14 anni, legate da un’amicizia così solida da farle sembrare praticamente sorelle. Le due ragazze vivono a Piombino in uno dei palazzi che il comune ha messo a disposizione per le famiglie degli operai che lavorano nelle fabbriche metallurghiche, un mondo crudo, ignorante e povero. Le famiglie si snodano tra debiti, lavori pesanti, litigi e malattie. Anna e Francesca passano giornate intere ad immaginare e progettare il loro futuro lontano da lì, magari sull’isola d’Elba o magari da altre parti, ma comunque lontano da lì, dalle loro famiglie. Sognano di diventare famose, una nel mondo della televisione e l’altra invece, estremamente intelligente, spera di fare carriera e diventare ricca e potente. Entrambe sono bellissime, quasi le più belle tra tutte le ragazze di via Stalingrado (quartiere di fantasia ideato dall’autrice). Loro ne sono molto consapevoli e spesso sfruttano questa bellezza per aprirsi al mondo degli adulti, felici di farsi guardare dagli uomini e invidiare dalle altre ragazze. La loro vita sembra scorrere tranquilla (per quanto si possa definire tranquilla la situazione in cui vivono) fino a quando qualcosa nel loro rapporto muta, cambiandolo per sempre.

“Acciaio” è un romanzo duro e delicato al tempo stesso. Ammiro l’abilità dell’Avallone nel mettere tanti personaggi nella storia e riuscire a dare senso alla presenza di ognuno di loro: non è affatto semplice! Tutte le storie dei personaggi sono terribilmente intrecciate e le scelte di uno ricadono a catena sulle sorti di un altro, rendendo la trama ancora più intrigante.

Alcune parti del libro battono sull’ovvietà di molti stereotipi presenti su chi vive nelle case popolari o comunque in situazioni di degrado. Alcune scene descritte tra i capitoli sono storie che ciascuno di noi sono sicura avrà sentito alla televisione o per chiacchere di paese. Per molti questo potrebbe essere un punto a sfavore, mentre vi dirò che per quanto riguarda me, tutto ciò ha reso la lettura più apprezzabile: per certi versi “Acciaio” è uno spaccato di vita reale, di quella che può comprendere chiunque e a portata di mano di tutti. In tante descrizioni ho rivisto la mia infanzia insieme ad Anna e Francesca: io non abito in un quartiere popolare ma in un paese di compagna molto piccolo lontano dall’intrattenimento di una grande città, quindi anche per me, la massima ebrezza d’estate era andare alla fiera del paese, che aspettavo con ansia ogni anno, per ascoltare la musica e ammirare i ragazzi più grandi.

Un altro motivo per cui ho apprezzato il libro sono le parti descrittive delle acciaierie di Piombino: wow. Penso che l’autrice davvero non avesse potuto renderle meglio. Le descrizioni sono così dettagliate e realistiche che mi sembrava di essere li ad ammirarle atterrita. Non avrei mai pensato di poter apprezzare così tanto la descrizione di una fabbrica!

Arrivando al sodo, “Acciaio” mi è piaciuto moltissimo. Sicuramente qualche difetto c’è: io stessa avrei apprezzato una maggiore caratterizzazione di alcuni personaggi secondari che compaiono qua e là nel libro ma poi spariscono improvvisamente. Il racconto è abbastanza crudo e non particolarmente felice, quindi qui vige lo stesso monito usato per Ammaniti: vietato ai deboli di cuore!

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